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Machine Learning

I falsi miti sul chatbot

6 affermazioni sui chatbot da sfatare

Negli ultimi anni il tema delle Intelligenze Artificiali sta emergendo sempre di più in quanto aziende, istituzioni, media e persone, nella loro vita privata, ne stanno comprendendo realmente il potenziale.

Tra le intelligenze artificiali più comuni e conosciute a livello globale c’è sicuramente il chatbot, uno dei sistemi di AI conversazionale, in grado di interagire con le persone ponendo delle domande ed elaborando delle risposte. Il chatbot è un prodotto facilmente comprensibile dalle aziende di tutti i settori, che può portare enormi benefici in termini di innovazione, efficienza e costi.

Spesso però, le aziende che scelgono di adottare questa tecnologia incorrono in errori che impediscono di sfruttarne al meglio le funzionalità. Questo a causa di una diffusione di informazioni che non è andata di pari passo con la consapevolezza su cosa sia realmente a livello tecnico e cosa serva per costruirne uno davvero performante.

Qui di seguito andiamo a vedere quali sono i 6 falsi miti da sfatare sul chatbot.

FALSO MITO 1: I chatbot sono una soluzione economica ed entry level per arricchire i propri servizi con potenzialità AI


Integrare un chatbot in azienda, così come tutti i progetti che mirano a portare innovazione di valore, ha un effort commisurato alla qualità e alle dimensioni del progetto.

Siccome realizzare un chatbot può comportare costi significativi, le aziende devono, come per tutti gli altri progetti, fare valutazioni approfondite e considerare il TCO, tenendo in considerazione anche il fatto che poter contare su questa tecnologia nel Customer Care permette di risparmiare costi secondari e risorse impiegate in mansioni a basso valore aggiunto.

Non bisogna dimenticare che un buon chatbot può migliorare la customer experience e la fidelizzazione dei clienti. Al contrario, un chatbot scadente e sviluppato senza studi e analisi approfondite può fare l'esatto opposto, dimostrandosi un costo inutile e dannoso per l’interazione azienda-client.

FALSO MITO 2: Per costruire un chatbot occorrono esclusivamente competenze tecnologiche legate all’A


Non c’è dubbio sul fatto che per costruire un chatbot occorrono competenze tecniche specifiche legate a una conoscenza dell’universo delle Intelligenze Artificiali. Ma queste non sono le uniche necessarie per un prodotto ben riuscito. Bisogna sempre ricordare che un chatbot è un’interfaccia che deve aiutare gli utenti rispondendo ai loro quesiti.

Per fornire un aiuto concreto serve un’analisi che tenga conto di diversi fattori culturali e di business. Un chatbot di una banca del territorio ha un’identità e un modo di parlare diversi da quelli di un grande e-commerce. Per questo motivo servono anche competenze umanistiche come la linguistica o la semiotica, in modo tale che il chatbot sappia comunicare con un essere umano facendo arrivare un messaggio pertinente e comprensibile.

Non solo competenze umanistiche: occorrono anche le cosiddette competenze di dominio, ovvero quelle competenze specifiche di un particolare progetto o di una determinata azienda.

Se si realizza, ad esempio, un chatbot per una banca, occorrerà trasmettere alla macchina le conoscenze specifiche del mondo bancario affinché possa rispondere esaustivamente alle domande dei clienti.

FALSO MITO 3: I chatbot sono tecnologie “pronte all’uso”


Una delle convinzioni comuni delle aziende che hanno intenzione di acquistare un chatbot è quella di poterlo fare in tempi rapidi, ottenendo un prodotto standardizzato.

Un chatbot non è una tecnologia pre-elaborata applicabile allo stesso modo a qualunque azienda, ma un progetto complesso e altamente customizzato. Ogni chatbot è unico e irripetibile e va costruito insieme al cliente.

Occorre una vera e propria ricerca etnografica aziendale, cioè capire quali sono gli obiettivi dell’azienda, qual è la sua identità, che tipo di persone ci lavorano, qual è il tone of voice adatto. E anche dopo questa fase di analisi, necessaria per creare il chatbot, esso deve successivamente essere addestrato attraverso tecniche di apprendimento per renderlo capace di rispondere alle domande degli utenti.

FALSO MITO 4: I chatbot sono prodotti finiti e immutabili nel tempo


Sicuramente un chatbot ben fatto, tecnicamente funzionerà sempre. Ma, come tutti i servizi, necessita di aggiornamenti continui. Le esigenze delle persone cambiano, così come gli obiettivi di business, i prodotti venduti e i servizi offerti.

Per questo motivo occorre aggiornare il chatbot sia sulle novità sia sulle modalità attraverso le quali le persone esprimono le loro esigenze, affinché esso sia sempre preparato a rispondere, a prescindere dal modo in cui è posta la domanda.

FALSO MITO 5: I chatbot riproducono il linguaggio delle persone e sostituiscono in toto la comunicazione umana


Altra credenza diffusa è quella secondo la quale il chatbot riproduce esattamente il linguaggio umano, risolvendo qualsiasi problema dell’utente. E che, di conseguenza, possa sostituire i tradizionali call center e uffici di supporto.

Un chatbot, per essere efficace, deve risolvere tasks molto specifici ed essere in grado di gestire la mole di richieste time consuming ma che sono di scarso valore aggiunto:

qual è la procedura per entrare nel mio profilo utente? Come posso cambiare la mia password? Fornite questo determinato servizio? Quando è aperto il vostro negozio a Milano Centrale?

Il chatbot dunque automatizza questo tipo di processi, cosicché i call center possano focalizzarsi su consulenze più specifiche.

Il chatbot, inoltre, è in grado col tempo di riconoscere le consulenze più strategiche e transazionali e fornire informazioni specifiche su un dato acquisto o esigenza dell’utente. Di conseguenza, può passare la richiesta a un operatore umano, offrendogli una serie di informazioni ulteriori per consentirgli di non partire a freddo, ma riprendendo le conversazioni tra l’utente e il chatbot.

FALSO MITO 6: I chatbot vanno integrati in fretta

Siccome il chatbot è uno strumento che si sta ampiamente diffondendo, uno degli errori più comuni sta nell’integrarlo in azienda frettolosamente e, come abbiamo detto precedentemente, senza consapevolezza delle conseguenze che può avere sulla customer experience.

Dando per scontato che tutti gli utenti siano già abituati a utilizzare questa tecnologia, molte aziende virano su soluzioni low cost che offrono servizi immediati, spesso senza considerare né la fase di analisi aziendale, né quella di apprendimento.

Offrire un chatbot non studiato e ragionato può peggiorare la customer experience e interrompere il customer journey. Per questo motivo Injenia negli anni ha sviluppato servizi di chatbot in grado di sostenere una conversazione con l’utente che rispecchi i valori delle aziende clienti.

L’idea è che un progetto di successo non si riduce alla tecnologia, ma è affiancato dalle migliori idee di business e dall'intelligenza collettiva, intesa come la capacità di risolvere problemi attraverso la collaborazione e l’innovazione.

Un esempio virtuoso di chatbot sviluppato da Injenia è Sophia, l’assistente vocale di Credito Cooperativo Romagnolo, che sta portando un valore reale alle persone, in quanto è stato costruito con tecnologie conversazionali all’avanguardia e un approccio orientato alle persone e alla loro conoscenza.

Discipline umanistiche quali la semiotica e la linguistica - solitamente lontane da progettualità di questo tipo - hanno contribuito a costruire conversazioni fluide, efficaci e coerenti con l’identità della banca e il contesto territoriale.

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